"Antonino Cannavacciuolo e il padre-maestro che tutti vorremmo."
A dispetto della sua imponente figura, si muove tra i fornelli con disinvoltura...
di Nicolo Montali
A dispetto della sua imponente figura, si muove tra i fornelli con disinvoltura, che siano quelli del suo ristorante o di qualsiasi altro: Antonino Cannavacciuolo si destreggia tra le cucine di tutta Italia come un salvatore per intervenire e riparare dalle intemperie della vita i poveri gestori di ristoranti a conduzione semi-familiare.
Volendo vedere il personaggio, perché così è, da un punto di vista psicanalitico, la figura che impersona con enorme successo è chiaramente quella paterna, severa e inflessibile quanto accogliente laddove i figli di turno corrispondano alle aspettative. Divino cuoco e fine conoscitore della psicologia umana, questo omaccione di poche parole e sonore pacche sulle spalle si pone come un saldo approdo in mezzo alla tempesta per chi invoca disperato un suo intervento.
Non scade nel frustrante modello della meta irraggiungibile, la perfezione incarnata che, essendo vetta così elevata, fa desistere chi si mette in cammino; piuttosto si prodiga nell'elargire parole dolci, al limite degli slogan, sorrisi e sonori ceffoni sulle spalle degli affranti come a volerli fare ripartire (quasi una manata valesse più di mille parole); con il calore umano che non manca di dispensare alle pecore smarrite fornisce loro lo stimolo affettivo per ripartire, evitando di abbattersi poiché debbono competere con un così alto modello.
La distanza incolmabile che corre tra i vari Cracco, Bastianich, Ramsay, e il comune cuoco, è annullata dal genuino affetto paterno, severo ed rassicurante, che la figura di Antonino ispira a chi lo incontra.
In tutto questo non c'è un finzione nelle situazioni che sono rappresentate, il dolore e la perdizione culinaria sono reali, la disperazione esce dallo schermo e fa provare allo spettatore compassione e vicinanza (incredibile che la televisione diventi luogo della verità e dell'uomo qualunque). Quando in questo sfacelo familiare e culinario tutto sembra andare a rotoli arriva, <i> deus ex machina </i>, il salvatore, l'onnipotente e onnipossente Antonino, roccia fatta a persona, cuoco fatto a Superuomo.
La sua presenza rinfranca gli spiriti e genera nuove forze, coraggio per ricostruirsi ed energie per una rinascita reale che avviene sotto gli occhi delle telecamere.
Il pubblico a casa è incredulo, come è possibile che sia avvenuto un tale miracolo sotto i suoi occhi? Come l'araba fenice si rialza dalle sue ceneri, ogni puntata, aiutati dalla maieutica figura di Antonino, una famiglia si rigenera dalle sue rovine, e la rinascita è reale, i cuochi non sono attori e i sentimenti non sono finti.
Ancora una volta ce l'ha fatta, tra le silenziose acclamazioni dei telespettatori, una famiglia come la loro, di gente normale e che si vuole bene, è stata salvata dal possente Antonino, eroe dei nostri tempi in un'Italia mangereccia che guarda i programmi di cucina (e compra prodotti pronti invece che cucinare) al posto delle tragedie.
Proprio questo è il punto: la tragedia greca, dolorosa e catartica, ha sposato il naturalismo coinvolgente della real tv, e Cucine da Incubo è il loro figlio più promettente.
Resta solo un dubbio: quanto durerà il nuovo stato delle cose? Il cambiamento durerà a lungo o è solo d'ausilio ad una più profonda catarsi (forse inconscia?) nella massa di telespettatori?