Messaggi umani nello spazio
Le sonde delle missioni inviate nel Sistema Solare esterno, quindi da Giove in poi, a meno che non debbano entrare in orbita attorno a uno dei giganti gassosi ...
di Beatrice Bersani
Le sonde delle missioni inviate nel Sistema Solare esterno, quindi da Giove in poi, a meno che non debbano entrare in orbita attorno a uno dei giganti gassosi (come Cassini per Saturno o Juno per Giove) molto probabilmente sono destinate a uscire dall’eliosfera e entrare nello spazio interstellare. L’unica cosa che potrebbe fermarle è l’urto con un corpo celeste nel passaggio attraverso la Fascia di Kuiper (zona di corpi rocciosi, qualche cometa a breve periodo e pianeti nani, da cui proviene anche Plutone) o la Nube di Oort (la zona di provenienza della maggior parte delle comete e probabilmente ciò che rimane della nebulosa di detriti da cui si originò il Sistema Solare), ma è molto poco probabile che ciò avvenga.
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Con eliosfera si intende quella zona di spazio prima della Nube di Oort, esteso intorno al sole per circa 100 UA, (Unità Astronomiche, la distanza media Terra-Sole), in cui le radiazioni magnetiche del vento solare sono abbastanza potenti da bloccare quelle che si trovano nel resto dello spazio. Al di là del limite dell’eliosfera, detto eliopausa, si entra nello spazio interstellare vero e proprio, dove il vento solare non è più distinguibile da quello interstellare che permea tutta la galassia (e forse tutto il cosmo).
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Sono quattro le sonde attualmente dirette verso lo spazio interstellare: le sonde gemelle Pioneer 10 e 11, dell’omonimo programma, lanciate rispettivamente il 3 marzo 1972 e il 6 aprile 1976 e le sonde gemelle del programma Voyager, 1 e 2, lanciate il 5 settembre e il 20 agosto 1977. Pioneer 10 è ora rivolta in direzione di Aldebaraan, nella costellazione del Toro, Pioneer 11 è diretta verso la costellazione dell’Aquila, Voyager 1 verso l’Ofiuco e Voyager 2 verso Andromeda (la costellazione, non la galassia). Non si esclude la possibilità che anche la sonda New Horizons, una volta completato il suo compito all’interno della Fascia di Kuiper, venga inviata a sua volta indirizzata verso lo spazio interstellare.
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Tutte e cinque, al loro interno, trasportano la testimonianza dell’esistenza della specie umana, qualora le sonde alla deriva vengano recuperate da altre forme di vita intelligenti in grado di decifrare ciò che noi abbiamo inviato nello spazio.
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New Horizons è quella in cui questo messaggio è meno decifrabile da forme aliene e più filoamericano, poiché al suo interno vi sono due bandiere a stelle e strisce, due monete e un francobollo USA del 1991 con la scritta “Plutone: non ancora esplorato” (la missione New Horizons aveva proprio quell’obbiettivo), però contiene anche, su un CD-ROM, gli oltre 400.000 nomi degli aderenti al progetto e parte delle ceneri dello scopritore di Plutone, Clyde Tombaugh. New Horizons è quindi la prima sonda a portare nel Sistema Solare esterno una persona (anche se morta).
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Le due sonde gemelle Pioneer 10 e 11 avevano l’obbiettivo principale di studiare Giove, che raggiunsero nel dicembre del 1973 e del 1974 (ricordiamo che partirono a più di un anno di distanza), poi la seconda fu dirottata verso Saturno, a cui arrivò nel dicembre del 1979. Alla fine della loro missione furono fatte dirigere, a strumenti e motori spenti e con traiettoria rettilinea, verso l’esterno del sistema solare. Sono entrambe delle sonde considerate “morte”, perché dalla terra non si riescono più a ricevere loro dati. Il Pioneer 11, in realtà, fin dal 1985, quindi addirittura prima che la sua missione primaria finisse, era stata costretta all’utilizzo delle batterie di riserva per via di un guasto a quella principale, e si spense dieci anni dopo. Il Pioneer 10, invece, ha continuato a inviarci segnali fino al 23 gennaio 2003. Il tentativo successivo di contatto, avvenuto il 7 febbraio, fallì. La sonda però si era sicuri avesse già oltrepassato Nettuno.
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Pur spenti, i Pioneer sono le prime sonde con un messaggio per altri eventuali abitatori dello spazio. Su entrambe, infatti, montata sul supporto delle antenne, rivolta all’interno in modo da non venire rovinata dall’esposizione ai raggi, si trova una placca di 22 x 15 cm con incisi dei simboli che indichino a chiunque le trovi la provenienza delle due sonde. In totale sono 5.
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La più importante, in alto, è quello in realtà più difficile da spiegare, perché raffigura l’onda generata dall’elettrone di un atomo di idrogeno da spin up a spin down, che viene indicata con la cifra binaria 1. La figura è universale, perché l’idrogeno si trova ovunque nell’universo e in tutto l’universo l’onda generata da queste condizioni è uguale, e sulla placca viene utilizzata come unità di misura (i numeri espressi in codice binario) sia di dimensione (la lunghezza dell’onda è di 21 cm) che di tempo (la frequenza è di 1420 MHz, con un periodo di circa 0,7 ns).
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In basso si trova uno schema del Sistema Solare, con espressa la distanza di ogni pianeta dal Sole, dove l’unità però corrisponde a 1/10 la distanza fra il Sole e Mercurio. È interessante notare come in questo schema l’unico pianeta dotato di anelli sia Saturno, poiché quelli di Urano e Nettuno non erano ancora stati scoperti, e ci sia anche Plutone, che al tempo era ancora considerato il nono pianeta del Sistema Solare. Una freccia inoltre indica la traiettoria compiuta dalle sonde (anche se sulla Pioneer 11 risulta essere errata in quanto fu poi modificata).
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Sopra il Sistema Solare si vede una raggera con quindici rette cha partono da un punto. Esse indicano la posizione del Sole rispetto a quattordici pulsar (i numeri accanto a loro indicano i loro periodi, in modo da permettere di riconoscerle dovunque nello spazio), in modo che la posizione possa essere triangolata anche da luoghi dell’universo dove non tutte sono visibili. La quindicesima linea, la più lunga, che sfora anche nel disegno accanto, indica invece la distanza del Sistema Solare dal centro della Galassia.
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A destra si trovano due disegni sovrapposti. In primo piano vi sono due figure umane nude, una maschile e l’altra femminile. All’inizio il disegno voleva che si tenessero per mano, poi venne il dubbio che gli alieni potessero scambiarli per un corpo unico quindi furono divisi. Accanto a loro, il numero 8 in codice binario (1000) ne indica l’altezza media (8 x 21 cm = 168 cm). La mano destra dell’uomo è sollevata in un saluto di pace mostrando, se anche il gesto non fosse compreso, il pollice opponibile e con quali giunture si muovano gli arti. Questa figura scatenò alcune vivaci critiche da parte soprattutto a causa della nudità dei soggetti. Un giornale addirittura la censurò e il Los Angeles Times ricevette numerose lettere in cui la NASA veniva accusata di usare i soldi americani per spedire oscenità nello spazio. Alcuni circoli femministi invece puntarono il dito contro il fatto che, se l’uomo salutava, la donna era ferma con le braccia lungo i fianchi. Dietro le due figure umane si trova il profilo della stessa sonda Pioneer, in modo che le dimensioni degli esseri umani possano essere ricavate anche per confronto.
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Le sonde gemelle Voyager 1 e 2 furono progettate per esplorare Giove e Saturno. Lanciate a pochi giorni di distanza l’una dall’altra, raggiunsero il gigante gassoso compiendo il flyby la prima il 5 marzo e la seconda il 9 luglio del 1979. Il 12 novembre dell’anno successivo Voyager 1 effettuò il flyby di Saturno, poi fu inviata verso lo spazio profondo, come prevedeva la missione. Quando invece, nel 26 agosto del 1981, fu Voyager 2 a compiere la manovra, gli astronomi si accorsero che i pianeti di Urano e Nettuno si trovavano in una congiunzione astrale estremamente favorevole, perciò la sonda fu dirottata a studiarli entrambi. Effettuò il flyby di Urano il 24 gennaio 1986 e tre anni e mezzo dopo, il 25 agosto 1989, quello di Nettuno. Ad oggi, Voyager 2 è l’unica sonda ad aver visitato di due giganti freddi del Sistema Solare esterno. Scattò anche le foto di Plutone più ravvicinate fino al flyby di New Horizon.
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L’11 dicembre 2007 Voyager 2 supera l’impatto con l’assenza del vento solare. Voyager 1 l’aveva fatto tre anni prima ma gli astronomi non avevano potuto stabilirlo con certezza a causa del rilevatore non funzionante. Nel 25 agosto 2012 la sonda Voyager 1 diviene ufficialmente il primo oggetto umano nello spazio interstellare ma non si hanno più sue notizie. Questo fino al 4 dicembre 2017, quando la sonda riesce a riorientare la propria antenna verso la Terra e a mandare un segnale e, dopo 37 anni di silenzio, da 21 miliardi di km, la Terra le fa riaccendere i motori per correggere la propria rotta. Tutt’e due le sonde Voyager perciò sono ancora “vive” e continuano a mandare dati, nonostante l’età e la distanza, informandoci su quel pezzo di cosmo a cui nemmeno speravamo di arrivare. Voyager 1 è inoltre l'oggetto artificiale più lontano da noi. in seconda posizione si trova ancora Pioneer 10, ma Voyager 2 dovrebbe superarla nel 2023.
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Anche in Voyager 1 e 2 si trova un manufatto che testimonia l’esistenza dell’essere umano nel cosmo. È molto più complesso e completo rispetto alla placca dei Pioneer e si trova all’interno delle sonde. Si tratta di un disco per grammofono di 30 cm di diametro in rame placcato d’oro, che però funziona come un CD-ROM. Sulla sua superficie, infatti, le istruzioni permettono di decodificare non solo dei suoni, ma anche delle immagini.
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Sulla copertina del disco vi sono le stesse immagini che si trovavano sulla placca dei Pioneer, con l’esclusione oltre che della forma e della rotta della sonda, dei due corpi nudi. Infatti, le critiche sulla precedente esperienza convinsero la NASA a impedire che fossero riportate, sia sulla copertina che nelle immagini all’interno del disco, figure nude. Al loro posto vi sono le istruzioni necessarie a leggere il disco, sia come sonoro che come immagini, con prospetto frontale e laterale sulla fattura e la disposizione della puntina sul disco, la frequenza a cui dovrebbe essere fatto girare e i riscontri che gli alieni dovrebbero avere delle figure iniziali in caso di decifrazione corretta.
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Le immagini selezionate sono 155, rappresentanti delle diversità della natura e della vita della Terra, oltre che delle molteplici culture dell’umanità. I saluti dell’umanità, che sono sia visibili come scritte che ascoltabili in sonoro, sono registrati in 55 lingue diverse, fra cui anche l’accadico, il sumero, il greco antico e il latino. Successivamente inizia la parte dedicata ai suoni del pianeta Terra, naturali come lo stormire delle foglie, il canto degli uccelli e quello delle balene, il vento, i tuoni e le onde, oppure umani, come il vagito dei bambini e il pianto umano. In questa raccolta è racchiusa una selezione musicale dei brani ritenuti i più rappresentativi dei diversi Paesi del mondo, fra cui la Quinta Sinfonia di Beethoven, Jonny B. Goode di Chuck Berry, il canto notturno degli indiani Navajo e i brani della tradizione orientale. La sezione dedicata solo alla musica dura 90 minuti. Vi è infine il messaggio del presidente americano Jimmy Carter «Questo è un regalo di un piccolo e distante pianeta, un frammento dei nostri suoni, della nostra scienza, delle nostre immagini, della nostra musica, dei nostri pensieri e sentimenti. Stiamo cercando di sopravvivere ai nostri tempi, così da poter vivere fino ai vostri.»
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La probabilità che queste prove giungano effettivamente fino a forme di vita aliene intelligenti è infinitesimale e questi lanci sono più un simbolo che un effettivo tentativo di comunicare. Però sono una prova, la prova inconfutabile che l’umanità non accetta di essere limitata nella scoperta del cosmo e che l’homo sapiens esploratore si è evoluto nell’homo sapiens sidereus (definizione data da alcuni giornali scientifici agli uomini che puntano alle stelle).
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Pictures credits: agopax, spazio-tempo-luce-energia, phys. org, Lunar Legacies, Wikimedia Commons, Evryeye Tech, Rivista Studio, Redbubble, Centro Meteo Italiano