Rinuncia agli averi
“Rinuncia agli averi” è un affresco realizzato da Giotto su commissione del Papa Nicolò IV per il ciclo
di Andrea Carpi
“Rinuncia agli averi” è un affresco realizzato da Giotto su commissione del Papa Nicolò IV per il ciclo decorativo della Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi e rappresenta il momento culminante della conversione di Francesco che, spogliatosi degli abiti, rifiuta la ricchezza del padre per iniziare un cammino di povertà, altruismo e fede in nome di Dio.
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<i style="font-size:smaller">1267 ca./ 1337, Giotto, Basilica di San Francesco, Assisi, Chiesa superiore.</i>
Tutto ebbe origine quando, tra il 1203 e il 1204, Francesco partì per Gerusalemme al fine di partecipare alla quarta Crociata. Giunto a Spoleto, però, ebbe un ripensamento e così tornò ad Assisi. Da quel momento non fu più la stessa persona: un giorno, fece incetta di stoffe nel negozio del padre e andò a Foligno a venderle, vendendo anche il suo cavallo. Tornato a casa a piedi offrì il ricavato al sacerdote di San Damiano perché riparasse la chiesa. Il padre di Francesco, Pietro Bernadone, stupito e deluso dal comportamento del figlio decise di denunciarlo ai consoli nella speranza che si ravvedesse ma, in tutta risposta, il santo fece appello al Vescovo.<br>
Nel suo affresco Giotto è capace di restituire l’intensità e la criticità del momento che Pietro e Francesco stavano vivendo: la scena è spaccata idealmente in due parti: nella porzione destra del riquadro troviamo Francesco insieme al Vescovo e ai cardinali assiepati intorno al santo, che rappresentano rispettivamente il bene ed il potere spirituale, mentre in quella sinistra troviamo Pietro Bernadone che insieme alla società laica e agli esponenti della borghesia rappresentano l’aspetto temporale e corruttibile della vita terrena. Francesco, protende le mani al cielo in segno di preghiera mentre rinuncia a tutti i suoi beni terreni e alla famiglia d’origine per aspirare ai beni celesti e far parte di una famiglia più grande: la Chiesa.
La scena simboleggia il passaggio da una filiazione meramente umana, alla condizione di “figlio di Dio”. Il padre è chiaramente sconvolto: ha sul volto una smorfia di rabbia e incredulità, in mano tiene le vesti di cui Francesco si è appena privato e il suo corpo è proteso in avanti come per afferrare il figlio, ma è trattenuto per il polso destro da una figura, (probabilmente un parente), che glielo impedisce. Intanto il Vescovo copre la nudità del santo con un lembo di stoffa in segno di protezione, ma porta indietro il volto e cerca di distogliere lo sguardo da Pietro, cercando piuttosto approvazione e supporto in quello delle due figure che gli stanno alle spalle. Quand’ecco che dal cielo si rivela una mano, quella di Dio, che è come collegata da un filo invisibile a quelle congiunte di Francesco, e che sembra indicarlo, benedicendolo. Purtroppo lo stato di conservazione dell’affresco non è ottimale e non ci permette di capire se la mano divina fosse l’unico elemento dipinto, anche se è stato ipotizzato che un tempo esistesse tutta la figura di Dio. <br>
Nella parte superiore dell’opera emergono quinte architettoniche e un paesaggio urbano che nel registro inferiore rimangono velate dalla presenza di un gran numero di figure. Troviamo contrapposti due edifici, entrambi sfarzosi e riccamente decorati, riconducibili per via delle decorazioni riportate uno alla sede Vescovile (quello a destra), mentre l’altro a una casa privata; ambientando così la scena ad Assisi nella piazza antistante il Palazzo Vescovile. <br><br>
In questo affresco, come in altri appartenenti a questo ciclo decorativo, si può notare un accenno prospettico, sebbene non perfettamente riuscito. Saltano all’occhio in particolare l’elemento di copertura della scala di servizio al palazzo di sinistra, e la geometria del piano superiore del palazzo di destra, che sembra fluttuante. Ciononostante risulta evidentissima la penetrazione della terza dimensione, valorizzata dallo sviluppo in più piani e più livelli della scena, e dall’utilizzo di un azzurro progressivamente più chiaro dal basso verso l’alto. Da un punto di vista iconografico, colpisce il fatto che l’unico personaggio della scena ad apparire fisso e senza vestiti è proprio la figura del santo. L’elemento caotico invece è alimentato dal padre, che mette in moto l’azione della figura che lo trattiene da dietro, e la reazione del clero ed i particolare del Vescovo. Quest’ultimo sembra aver paura non solo per la rabbia della folla e per il rischio di inimicarsi la classe borghese di Assisi, ma dello stesso San Francesco. Quest’ultimo infatti nutre una fede così intensa che lo porta a rinunciare a tutti i suoi averi nel nome di Dio, contrapponendosi nettamente alla figura del Vescovo che è vestito e adorno di gioielli. Il tutto, è quasi una prefigurazione delle ingenti polemiche che si verificheranno negli anni successivi circa la ricchezza e il lusso che la Chiesa di quel periodo amministrava e ostentava.<br>
Nell’affresco si possono notare diversi colori, tra cui predominano l’azzurro, anche se buona parte di cielo è stata rovinata per via dell’umidità, il rosso, il giallo e il bianco. Sebbene siano stati utilizzati colori così variegati e diversi tra loro, Giotto valorizza ognuno di essi, sia abbinandoli in modo equilibrato nelle varie porzioni del dipinto, sia, per mezzo della tecnica del chiaroscuro, dando volume agli edifici di sfondo.